Vi è mai capitato, o avete mai sentito qualcuno raccontarvi che, dopo un intervento chirurgico o dopo il parto, sono iniziati dei dolori che prima non c’erano?
Facciamo un salto in sala operatoria.
Alcune delle disfunzioni somatiche più immediate ed interessanti da seguire osteopaticamente in un post-chirurgico, sono quelle create dal posizionamento del paziente sul tavolo operatorio.
Proviamo a pensare ad esempio ad un intervento al ginocchio, in cui tutto viene posizionato nell’ottica di rendere agevole l’intervento ma magari si lascia il paziente con gomito iperteso per tutta la durata dello stesso, come tutti sappiamo a volte anche ore! Un’iperestensione dei gomiti comporta segni e sintomi al nervo radiale. Ugualmente può essere benissimo che accidentalmente venga tenuto un piede in eccessiva intrarotazione.
Parlando sempre di ginocchia, il posizionamento di un cuscino sotto il cavo popliteo per mantenere un certo grado di flessione del ginocchio può essere necessario all’intervento, ma sappiamo benissimo che se non si presta costantemente attenzione a che i talloni non poggino ‘sul duro’ possono instaurarsi altri problemi, le ulcere da pressione possono iniziare a formarsi appena dopo 15 minuti di occlusione del flusso sanguigno! Ricordiamoci sempre che ‘la regola dell’arteria è suprema’!
Pensiamo ora ad un operato per lesioni al midollo spinale a livello di C7, al quale magari sono state tenute sollevate le braccia oltre i 90 gradi e le mani sopra i gomiti per magari 4 ore. Può benissimo essersi sviluppato in esito a livello del plesso brachiale.
Proseguendo possiamo quindi realizzare come sia abbastanza semplice creare ‘esagerate’ flessioni od estensioni o rotazioni di segmenti anche con il solo spostamento del paziente dalla barella al tavolo operatorio.
Negli interventi alla tiroide, la gola deve essere esposta la massimo con posizionamento in ipertensione del capo e conseguenti lassità derivanti dall’anestesia. Nel tempo dell’operazione possono strutturarsi molteplici disfunzioni somatiche causa, in post operatoria, dei più svariati dolori/fastidi.
Non dimentichiamo anche che l’utilizzo di divaricatori comporta importanti pressioni tessutali.
In anestesia il paziente sedato è “molle” e nel mobilizzarlo si arriva facilmente a quella che è la barriera anatomica invece di quella fisiologica.
In Osteopatia sappiamo bene che la struttura deve essere preservata per la funzione.
Pensiamo anche ‘semplicemente’ al parto. Come tutti ben sappiamo, al fine di ottenere corretto movimento craniale che vada dal movimento del cervello, agli effetti sulla dura madre, fino l'osso sacro, necessitiamo che cranio e sacro e tutte le strutture coinvolte si muovano all’unisono. Quando il cervello va in flessione la base del cranio si protende verso l'alto e l’ancoraggio al secondo segmento sacrale provoca il movimento del sacro verso l'alto e indietro. Durante l'estensione avviene il contrario, con il sacro che si porta in avanti e in basso. Ma un’anestesia o il semplice posizionamento della neomamma sul tavolo con il sacro appoggiato e impossibilitato nel suo movimento non può forse creare un problema?
Tornando alla domanda iniziale, quante persone si lamentano dopo intervento chirurgico?
L’anestesia da principio e, gli antidolorifici poi, mascherano la disfunzione somatica fino a che, qualche giorno più tardi, i pazienti iniziano ad avere strani nuovi dolori.
Osteopati anestesisti statunitensi suggeriscono che il periodo migliore per un intervento osteopatico, di semplice check o di correzione, dovrebbe avvenire ad una settimana dall’intervento chirurgico, ovviamente con diverse modalità applicative a seconda della chirurgia. Occorre comunque prestare molta attenzione alla zona lombare, cervicale e toracica oltre che alle articolazioni periferiche. L’approccio craniale è consigliato in quanto ottimizza la forza vitale dell’individuo.
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